La montagna di Floriana… e di Guccini

Sono nata tra le montagne, ma da ragazza ho sempre preferito il mare. Crescendo, però, anche questa cosa è mutata in me al punto che oggi, come dico sempre, per essere serena mi basta il mare, ma per la felicità mi occorre la montagna.
Mi basta imboccare la prima strada alberata per entrare in un mondo nuovo, più dentro che fuori di me.
E credo di sapere il perché. In montagna non servono pesi, sovrastrutture, fronzoli: tutto ciò che appesantisce, irrigidisce e distrae è inutile, se non dannoso.
In montagna il rapporto è diretto e immediato: ci sei tu e lei, tu e la natura tutta, che devi assecondare, rispettare, seguire. Sei un sottoposto, sei un ospite: la montagna vive di sé e delle sue creature, dei cicli e sulle proprie forze, può fare tranquillamente a meno di te.
Ma quando sei lì ti accoglie e, sovrastandoti, ti innalza.
Ti porta così vicino al cielo e al sole che ti sembra di abbracciarli e il calore di quel sole è diverso, più vero, reale almeno quanto il freddo, che ritempra. Il sole non ti scalderà mai in maniera così confortevole come in montagna, il freddo non sarà mai così puro e diretto, altrove.
E quei colori così vividi, definiti e cangianti, le mille sfumature cromatiche montane, sono la declinazione di versi mai scritti di un poema davvero epico, portentoso.
Non è un caso che i monasteri, luoghi meravigliosi di ascesi spirituale e fisica, sorgano per lo più in zone montane: a valle ci si va per bonificare e produrre, si svolge una mondanità materialista e sociale. Ma per elevarsi non c’è altro modo che salire, spirito e corpo, lasciando ogni zavorra lì dove servirà e sarà utile.
In montagna l’unica cosa utile è sé stessi: concentrazione e resistenza, attenzione e volontà. Siamo chiamati a prove costanti, che ci sganciano dagli automatismi, che ci rimettono in gioco completamente, fibra dopo fibra.
Ecco, per affrontare tutto questo, e per goderne, devi essere strutturato in maniera adeguata.
Ed è il motivo per cui io sono arrivata “tardi” ad amare la montagna: prima non avrei retto le sue esigenti richieste, non sarei stata all’altezza di quell’altitudine.
Ora ho con me i codici per poter apprezzare questa meraviglia, per poter viverla con pienezza e consapevolezza.
E tutto questo si traduce in volontà, bisogno, a tratti urgenza, in senso di appartenenza.
Questo non mi è mai successo col mare, anche se sono certa che per molti questo discorso sarà inverso.
Oggi posso dire di essere un po’ come la Parnassius Guccinii, la farfalla scoperta sull’Appennino tosco-emiliano dall’entomologo Sala, che l’ha dedicata al mitico Francesco Guccini: sono pur sempre un essere effimero, ma almeno adesso sono strutturata per “durare di più”, sono robusta e montanara, “non una di quelle farfalle bellissime e un po’ fighette che si vedono in giro”, direbbe il Maestrone.

Floriana Riggio